Stella

Note dello spettacolo<>

Il “comunicato numero uno” delle Br viene fatto trovare a Roma ad un giornalista del “Messaggero” avvertito telefonicamente. È all’incirca mezzogiorno di sabato 18 marzo, due giorni dopo il sequestro di Moro. In una busta arancione di formato commerciale, abbandonata sulla parte superiore di un apparecchio per fotografie formato tessera che si trova in un sottopassaggio di largo Argentina, ci sono cinque copie del comunicato e una foto Polaroid che ritrae Moro, in maniche di camicia, seduto sotto una bandiera con la stella a cinque punte e la scritta "Brigate rosse".

Questo è quanto ci racconta il coreografo Padovani nel suo nuovo Stella. Uno spettacolo che segna un importante momento nella ricerca artistica di Padovani, uno spettacolo dove la maturità del creatore, le approfondite ricerche sull’argomento, il vissuto del coreografo (allora studente universitario in pieno periodo di lotte e di terrorismo) sono presenti, forti, diventano materia plasmata attraverso i corpi e la voce dei due magistrali interpreti, Roberta Piazza e Andrea Rizzo. Con loro entriamo in un covo di brigatisti, quel covo…una scena di interno abitata e mossa da emozioni intense e momenti di grande umanità e poesia, un’atmosfera calda fatta di illusioni e proiezioni, suggerite con grande maestria dalla costumista Lucia Lapolla.

Credits<>

Coreografie e regia Luciano Padovani
In scena Luciano Padovani, Roberta Piazza e Andrea Rizzo
Sguardo critico Mauro Zocchetta
Luci Thomas Heuger
Costumi Lucia Lapolla

Una produzione Compagnia Naturalis Labor
Coproduzione Festival AbanoDanza 2024
Con il sostegno di MiC / Regione Veneto / Comune di Vicenza
Collaborazione Arco Danza

Teaser<>

Press<>

Hanno scritto su Stella....

Danza&Danza / Maria Luisa Buzzi
Al festival AbanoDanza tra utopie, nuovi eroi e danze nel vento

Il sequestro di Aldo Moro, Le Brigate Rosse, la passione politica, l'utopia rivoluzionaria, la gioventù del 1978: non avrebbe potuto trovare argomento più sensibile Luciano Padovani per il suo nuovo lavoro Stella. Vuoi perchè il terrorismo è tornato purtroppo ad occupare le cronache a livello internazionale, vuoi per l'ascesa di nuovi estremismi, vuoi per la disaffezione politica caratteristica dei nostri tempi. Tornare agli anni di piombo, e metterli in danza, poteva essere molto scivoloso. Invece Stella (dal simbolo delle Brigate Rosse) è un lavoro riuscito sebbene lasci in sospeso qualsiasi considerazione sulle conseguenze, e le vittime, delle azioni eversive.

Si ferma alla cronaca, portando cinematograficamente in scena la dimensione 'familiare' del covo in cui Aldo Moro è stato tenuto per cinquantacinque lunghi giorni di prigionia prima di essere assassinato. Attraverso una danza efficace e una struttura drammaturgica coerente, Padovani racconta la passione amorosa e politica della coppia di brigatisti, interpretata dai bravissimi Roberta Piazza e Andrea Rizzo; traduce in movimento il fervore politico e le discussioni, gli entusiasmi e il persino litigio scaturito tra i due nel momento della decisione più tragica: cosa fare dell'ostaggio. Aldo Moro (lo stesso Padovani) assiste seduto di spalle sul fondo della scena alla vita dei suoi sequestratori: praticamente immobile per tutta la durata della pièce, a sorpresa compierà un gesto compassionevole verso i suoi carcerieri. Nell'essenziale scenografia composta da un tavolo, un tappeto-giaciglio, una radio per le notizie e una macchina da scrivere per battere i comunicati da inviare alla stampa, il coreografo, che era all'Università ai tempi dei fatti, sembra qui mosso da una sorta di nostalgia per una gioventù fervente di passione rivoluzionaria, protesa all'inseguimento di ideali (poco importa se giusti o sbagliati). Un lavoro coraggioso che il Festival AbanoDanza, diretto dallo stesso Padovani, ha presentato in prima nazionale.... 

Pier Luigi Gentile
Ma che meraviglia di drammaturgia e coreografia!
Un teatro danza denso e intenso!

La stella è quella identitaria delle brigate rosse, e il tempo e il luogo dell’azione sono la prigionia e l’esito tragico del rapimento di Aldo Moro.

In questo lavoro del coreografo Luciano Padovani (che seduto sullo sfondo incarna l’immagine divenuta iconica del leader politico prigioniero), si percepisce nell’aria la tensione e il dramma di una storia vissuta, raccontata e inquadrata visivamente da un’angolazione diversa dalla consueta narrazione di una vicenda remota, rivista invece come attraverso l’ottica di un obiettivo capace di rendere materici e gestuali i sentimenti e i tormenti più impalpabili tipici di un’epoca di grandi pulsioni e di battaglie ideologiche, immerse nell’oscurità di coscienze sociali ormai assopite, evaporate in un silenzio immemore e impoverito. Che è poi il tempo presente…

Il clima politico, ideologico e storico di quei tempi, si è materializzato magicamente nello spazio scenico in gesti (agíti dai due magnifici performer Roberta Piazza e Andrea Rizzo) e in sequenze visive che si sono sviluppate in un potente linguaggio di teatro danza, con un ulteriore apporto espressivo di inedite contaminazioni, un linguaggio o codice ricco di emozione, di rara bellezza e intensità, e che abbiamo potuto vivere con grande stupore e meraviglia.

La sensazione epidermica, suscitata da questo linguaggio, è stata la percezione quasi fisica e tangibile nell’aria, della capacità del pensiero umano e delle forti motivazioni interiori di dare sostanza ai gesti, densità ai sentimenti, di ridare vita alla memoria più lontana. Ma al di sopra di tutte le sensazioni, é prevalsa quella già citata densità inusuale dei sentimenti, come se fossero una sorta di materia sconosciuta sospesa nell’aria, che si nutre del perenne conflitto interiore tra ideali da un lato e cruda ricaduta nell’ideologia accecante dall’altro. Il tutto nell’illusione ossessiva di poter cambiare un mondo che dopo tanto agitarsi e Infiammarsi non si è mai riusciti a cambiare.

Questo voltarsi oggi indietro, per rivivere i conflitti e le battaglie fuori e dentro la memoria dei protagonisti della storia, lascia un vago senso di perdita di materia, ma restituisce vita ai residui dei sentimenti che avevano portato allora a compiere azioni ostinatamente estreme, apparentemente irragionevoli, consapevoli delle conseguenze ma ignari dei sentimenti altrui, incapaci di avvertire i moti interiori che aleggiavano intorno e che li avevano inconsapevolmente accompagnati. E tra questi sentimenti c’era stato anche un amore, quello più semplice e naturale, più o meno reciproco, innescato tra chi stava materialmente al loro fianco in veste di carcerieri, combattendo magari interiormente un’altra battaglia altrettanto perduta, parallela, intima, e perché no decisamente più umana e concretamente fisica, mentre la mente era invece proiettata e compresa in ben altri pensieri, in ben più potenti obiettivi e ossessioni ideologiche, tensioni immateriali dove c’era poco o nessuno spazio per accorgersi di altri amori che erano proprio lì di fianco.

C’è in proposito un registro di lettura secondario di questo amore visibilmente sbilanciato in un conflitto disperante tra irrefrenabile desiderio di azione e lotta esterna ed estrema (emblematico della valenza bellica maschile) e desiderio di preservazione del valore della vita altrui, di scongiurare l’irreparabile, ma anche di salvare l’oggetto esterno del proprio amore (Elementi questi ultimi associati alla sfera del femminile).

É un po’ come se lo spazio scenico fosse lo spazio della memoria e della coscienza, nel quale si muovono, si amano, confliggono, si sbilanciano e danzano, due anime che hanno bisogno una dell’altra per restare in equilibrio… e a un certo punto questo equilibrio comincia a spezzarsi, e qualcosa di oscuro e irreparabile si prospetta, finché alla fine drammaticamente si concretizza.

Ma questa interpretazione è solo un rilievo che testimonia ulteriormente il grado di efficacia del codice espressivo che ha avvolto il pubblico durante questo intenso e silenzioso riuscire a riesumare le più piccole sfumature nascoste dietro la superficie delle cose.

Raccontare e plasmare tutto questo tumulto interiore nel buio di uno spazio scenico, sotto i nostri sguardi attenti, utilizzando il linguaggio del corpo, é la dimostrazione di come questo livello di teatro danza (e stiamo parlando di una splendida nuova produzione di Naturalis Labor in collaborazione con Abanodanza Festival) sia riuscito nell’intento di smuovere e dissotterrare un frammento di passato collettivo e personale, facendo riemergere da quel buio tutta la memoria e i sentimenti provati in quel tempo che appare così lontano..

Sono sensazioni che credevamo perdute o rimosse, ma che hanno comunque silenziosamente e dolorosamente plasmato qualcosa nel profondo, trasformandoci inconsapevolmente in quello che siamo oggi.
Riuscire a smuovere e ripercorrere tutto questo percorso a ritroso, è stata un’esperienza magnifica ed emozionante.                  

Tommaso Chimenti / Gagarin Magazine
Stella di Naturalis Labor. I sogni distorti dei due carcerieri di Aldo Moro

È sempre difficile, rischioso, spinoso e scivoloso riesumare dalla tomba del tempo argomenti che sono ancora divisivi e ferite aperte tra le generazioni. Ma a volte è necessario. Come nel caso di Luciano Padovani, coreografo e mente della compagnia di danza vicentina Naturalis Labor, che ha voluto mettere le mani nel fango degli anni ’70, delle Brigate Rosse e del rapimento, e successiva uccisione dopo 55 giorni di prigionia e agonia, dell’allora Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Dal suo punto di vista ci tiene a specificare che lo spettacolo Stella, come quella a cinque punte che identificava il gruppo terroristico eversivo rivoluzionario comunista, non ha connotazioni ideologiche. Pericoloso restare in equilibrio. Ovvero non prendere le parti dell’una, quella dello Stato legalitario, o dell’altra fazione, quella criminale, scellerata, assassina, delinquenziale, corrotta. Sappiamo tutti qual era, ed è, la giusta parte con la quale schierarsi.

In Stella (prod. Naturalis Labor, AbanoDanza, Regione Veneto, Comune di Vicenza, Arco Danza) si indaga, con il linguaggio del solo corpo, la vita dei due carcerieri di Moro, il loro sodalizio, i sogni distorti, anche l’amore. Non sono personaggi da farne degli eroi, anzi sono degli esempi farneticanti (nel ’78 erano 22.000 i brigatisti in Italia) e distorti della deriva comunista che voleva sovvertire l’ordine democratico. Tra un tappeto, libri e una scrivania con macchina da scrivere, per redigere i nove comunicati inviati durante quei terribili quasi due mesi di angoscia e tormento, e una pistola, i due sviluppano figure e intrecci fisici anche violenti (bella alchimia tra i due giovani danzatori Roberta Piazza e Andrea Rizzo) mentre sullo sfondo Moro (lo stesso Padovani che ha sviluppato per due anni il progetto) sta nella sua camicia bianca su uno sgabello punitivo di schiena curvo. Nella penombra si notano soltanto i contorni sfocati, come un fantasma in dissolvenza che c’è ma che di lì a poco sarebbe stato pronto a svanire, liquefarsi nella nebbia e nell’oblio del tempo. Moro è in controcampo, un controtempo in fuorigioco, un punto bianco lontano (candido come lo sfondo dello scudo della DC) versus gli abiti dal colore rossognolo scolorito come di sangue rappreso e lavato via male, è un’ombra pallida sfigurata in silenzio. La sua presenza è decisiva e centrale, fondamentale come contrappasso e contrappeso alle evoluzioni dei due attentatori, Moro bersaglio da colpire come direbbe qualche docente contemporaneo molto mediatico ed evidentemente cattivo maestro.

Sul caso Moro in teatro in questi anni abbiamo visto il superbo pezzo Daniele Timpano con il suo Aldo Morto, Fabrizio Gifuni in “Con il vostro irridente silenzio”, Marco Baliani con “Corpo di Stato. Mentre al cinema il dibattito è più serrato tra “Esterno notte e Buongiorno notte” entrambi di Bellocchio, Il caso Moro con Gian Maria Volonté, ma anche Piazza delle cinque lune di Renzo Martinelli, e La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. E’ un indagare (a tratti anche con compiacimento e un pizzico di giustificazione ad un atto che scusanti e spiegazioni plausibili non può averne né può essere perdonato) il lato umano di due boia (i mostri hanno un lato sensibile e compassionevole?) che tra dubbi esistenziali e passione, giuste paure (perché quello segnò il punto di non ritorno e la fine delle BR) ed eccessi di ottimismo. Cadono dalle sedie così come cadono i fogli sparsi, quelli dei comunicati del popolo come le lettere che Moro scrisse, danzano con la pistola come in Pulp Fiction evanescenti, drammaticamente eccitati o in una quasi Pietà michelangiolesca con lui, la parte forte e decisa e intransigente, che tiene in braccio lei, la compagna che ha avuto dei ripensamenti, che tenta di fermarlo, di zittirlo, entrambi già sciolti, annientati dalla Storia.

E’ una piece sull’assenza evocata, sulla presenza sublimata di un penitente pregante che fa molto più rumore della visione dei due malvagi secondini imbevuti di odio, di insensata e illogica vanagloria. In audio passa la Callas così come Oye como va di Santana fino ai Pink Floyd che torneranno anche nel loro principale simbolo-immagine feticcio e fulcro, quel triangolo con i raggi riflessi color arcobaleno di The dark side of the moon, in qualche modo invocato e citato in una suggestiva composizione creata da Padovani: i due danzatori davanti agli spettatori a formare una sorta di tetto e sotto, in lontananza, nel centro del vuoto creato tra le braccia e le gambe, quest’uomo, rannicchiato quasi a ricordare la sua posizione fetale all’interno della Renault 4 rossa in via Caetani a Roma, che riflette la sua potente luce, il suo poderoso messaggio salvifico di pace e tolleranza. L’immensità di Moro sta tutta in un quadro quando i due giovani stremati dormono sogni (mai) tranquilli e il segretario dell’allora primo partito italiano si alza dal suo gabbiotto, finalmente libero, forse già morto, e li accarezza perdonando eucaristicamente chi non sapeva quello che stava commettendo. Il vortice di Eros e Thanatos. Amore e morte danzano esasperatamente, intensamente, distruttivamente, in maniera furibonda. Nessun perdono verso quei compagni che sbagliarono, nessuna scusante. Non può non esserci ideologia, non si può rimanere imparziali di fronte allo scempio degli anni di piombo. Un plauso all’importante tentativo di una compagnia di danza contemporanea di parlare, di dire qualcosa di forte e sensato, ancora così vivo, pulsante e lancinante. Che la danza contemporanea non sia solo gesto e movimento ma sia piena di senso.

 Giuseppe Distefano / Exibart  01/12/2024

Il titolo, inequivocabile, è riferito al simbolo ideologico delle BR, la stella. Le Brigate Rosse degli anni di piombo, il sequestro di Aldo Moro, la sua prigionia e la sua uccisione, sono il concept dello spettacolo Stella del coreografo Luciano Padovani per la compagnia Naturalis Labor, un progetto maturato a lungo e giunto a compimento (al festival Abano Danza). Ad animare l’estro creativo dell’artista è l’urgenza di entrare nel vivo di tematiche che la storia ci ha consegnato, vissute o attraversate in quei frangenti (Padovani alla fine degli anni Settanta, era un giovane universitario a Padova), e riconsegnarle al nostro tempo turbolento, minacciato da estremismi; riportarle alla memoria di chi non conosce; alle generazioni che inseguono ideali o utopie rivoluzionarie per capire dove risiede il male.

In quella cronaca ed epoca drammatica, il cinema, soprattutto, e il teatro, hanno affondato a piene mani, trattando da angolazioni diverse i fatti e le vicende che condussero all’assassinio del Presidente della DC. Mettere in danza la storia, quella vera, è sempre operazione rischiosa, sia per la difficoltà di tradurre in movimento fatti e personaggi, che per l’elaborazione di una drammaturgia capace di evocarli. Ci riesce Padovani, con estro poetico e acuta intelligenza teatrale, limitandosi alla cronaca che sconvolse l’Italia, e trovando una sintesi affidata a tre figure emblematiche.

I due giovani danzatori Roberta Piazza e Andrea Rizzo – intensi ed espressivi nel calarsi nei ruoli -, sono la coppia tiene in ostaggio Moro nel covo, questi impersonato dallo stesso Padovani posizionato, con bella intuizione, sul fondo della scena, figura minuta e silenziosa ma fortemente presente, che per tutto il tempo della rappresentazione rimane in penombra, seduto di spalle su uno sgabello, salvo muoversi in due brevi momenti. Il secondo di questi è portatore di un gesto struggente, quasi di pietà verso i suoi aguzzini: si avvicina a loro nel sonno, li guarda amorevolmente, e stende la mano (una semplice postura plastica che sembra scaturire da un affresco pittorico), come a perdonarli per il gesto assassino che da lì a poco lo attende.

In Stella siamo nell’ambito di un teatro-danza poetico e rigoroso, la cui architettura coreografica segue un andamento cinematografico che ingloba oggetti funzionali e dinamici, carichi di simbologie che ricordano il periodo storico. Una radio a terra, dei libri, un tappeto branda, un tavolo con sopra una vecchia macchina da scrivere, una pistola, dei fogli battuti a macchina poi lanciati in aria, messaggeri delle lettere dei terroristi coi proclami ideologici.

Nella danza ora esultante, ora furiosa, ora indulgente della coppia, scorre – tra il tessuto sonoro della musica ambient di Ben Frost, e di musiche e canzoni pop dell’epoca – una gamma di azioni e di stati d’animo che segnano il loro travaglio di quei lunghi giorni: dall’esultanza del rapimento, alle paure, alle discussioni, all’amore, all’intransigenza, fino ai ripensamenti della donna che vorrebbe tornare indietro e fermare la mano del partner dalla drammatica decisione finale di eseguire la condanna a morte di Moro. La coreografia scivola tra intrecci e sospensioni, crolli e rotolamenti, tenerezze e respingimenti violenti, tessendo una fitta trama relazionale tra i due corpi dei bravissimi performer, latori di pensieri e sentimenti che pulsano fino al gesto finale.

Laura Guarducci  / Giornale di Vicenza
Stella, il rapimento di Moro nella coregrafia di Padovani

Positivo debutto al festival di Abano della nuova opera del coreografo vicentino dedicata agli anni di piombo "Utile raccontare"

Il coreografo vicentino Luciano Padovani si confronta con la storia contemporanea e, per la sua nuova creazione sceglie di affrontare il rapimento di Aldo Moro, negli anni di piombo, in una vera immersione negli anni Settanta. Lo fa con lo spettacolo di danza 'Stella' (come il simbolo delle Brigate Rosse) per la compagnia Naturalis Labor con gli interpreti Roberta piazza e Andrea Rizzo che ha debuttato con successo al Teatro Polivalente di Abano Terme davanti anche a storici esperti di storia contemporanea in occasione della ventiquattresima edizione di AbanoDanza Festival dal titolo "Making Connections".
Grazie all'intento visionario di Padovani, anch'egli sul palcoscenico, si entra nel covo dei brigatisti in una scena di interno abitata e mossa da emozioni intense e momenti di grande umanità in un'atmosfera calda fatta di illusioni e proiezioni, suggerite con maestria dalla costumista Lucia Lapolla.
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Gli appalusi allo spettacolo, una sfida molto impegnativa, sono arrivati dopo un lungo lavoro di preparazione...
 
Padovani, con la sua Stella è riuscito ad indagare un pezzo importante della storia d'Italia raccontandolo alla sua maniera, per offrire allo spettatore emozioni attraverso la danza. ....        

Dettagli tecnici<>

Creazione 2024

Tre danzatori ed un tecnico
Spazio minimo richiesto 10 mt x 8 mt
Quadratura nera / tappeto da danza nero

Lo spettacolo viene proposto per stagioni di teatro o danza.
Per la tematica affrontata può essere proposto alle scuole superiori e/o università con una conversazione condotta da un docente/storico.